di Alessandra Schofield
Documenti Quali conservare e per quanto tempo. Ci stiamo domandando se gettare via tutti quei faldoni o quelle scatole piene di carta e vecchie bollette che stanno lì da anni a occupare spazio? Prima di fare un bel falò liberatorio, vediamo di capire meglio se è davvero il caso.
In Italia vige l’obbligo di conservare alcuni tipi di documentazione per un certo numero di anni, sia per gli imprenditori (persone fisiche o giuridiche) sia per i privati cittadini.
L’obbligo generale per gli imprenditori — ditte individuali e società — è la conservazione decennale delle scritture contabili e della documentazione amministrativo-fiscale. Stiamo parlando di libri giornale e inventari, registri IVA, fatture attive e passive, bilanci, corrispondenza commerciale e libri sociali (verbali assembleari, CdA, collegio sindacale etc.): tutto va tenuto per almeno dieci anni dall’ultima registrazione. A questo si affiancano i termini di accertamento tributario, poiché anche se in via ordinaria l’Agenzia delle Entrate può verificare fino al 31 dicembre del quinto anno successivo alla dichiarazione (7 anni, se omessa), proprio perché la regola civilistica è più ampia, le imprese coprono l’intero decennio.
Se un periodo d’imposta è oggetto di verifica o contenzioso, la documentazione va comunque mantenuta oltre la soglia minima fino alla definizione della vicenda. Sul piano penale, l’occultamento o la distruzione fraudolenta di documenti obbligatori per evadere le imposte integra reato. Non rischieremmo quindi solo una sanzione amministrativa, ma si configurerebbe un profilo che può assumere rilievo penale, in presenza di dolo.
Per i privati cittadini non esiste un obbligo di tenuta di libri contabili, ma la “prudenza fiscale”, per così dire, suggerisce di conservare dichiarazioni dei redditi, ricevute di pagamento delle imposte (F24), certificazioni uniche e tutta la documentazione che giustifica detrazioni e deduzioni per almeno 5 anni a partire dall’anno di presentazione della dichiarazione (7 in caso di dichiarazione omessa). Spese sanitarie, interessi del mutuo, ristrutturazioni, polizze vita detraibili, bonus edilizi e simili vanno archiviati per il quinquennio utile ai controlli; quando un beneficio si spalma su più anni, conviene estendere la conservazione per l’intero arco temporale del beneficio più i cinque anni successivi. Sempre per i privati, è bene tenere estratti conto bancari e documentazione finanziaria per 10 anni: è il periodo entro cui la banca è tenuta a poter fornire copia dei documenti e, simmetricamente, entro cui il cliente può far valere con completezza i propri diritti. Per quietanze di mutui e prestiti, la soglia di riferimento è decennale dopo l’estinzione; per ricevute d’affitto e spese condominiali, il termine è rispettivamente di 5 anni per le ordinarie e 10 per le straordinarie.
Nei rapporti di lavoro, i datori devono conservare il Libro Unico del Lavoro per 5 anni dall’ultima registrazione, insieme ai principali registri e alle buste paga firmate. Molte aziende, a fini difensivi, mantengono i fascicoli del personale anche oltre i 5 anni dopo la cessazione del rapporto, spesso fino a 10, così da coprire eventuali contenziosi. Per i lavoratori è una buona regola conservare buste paga, CUD/CU, contratti, lettere e attestazioni per almeno 5 anni ma, meglio ancora, fino alla pensione, così da poter sanare eventuali “buchi” contributivi. È sensato custodire i documenti previdenziali (estratti contributivi, ricevute di versamento, comunicazioni dell’ente) per tutto l’arco della vita lavorativa e fino alla definitiva liquidazione della pensione.
Va comunque detto che tanto l’INPS quanto l’Agenzia delle Entrate hanno fatto e stanno facendo passi da gigante nella digitalizzazione e nell’aggiornamento di tutto l’archivio.
Nel settore bancario e finanziario, gli intermediari hanno l’obbligo di conservare la documentazione dei rapporti e delle operazioni per 10 anni; per i clienti, tenere estratti conto, comunicazioni essenziali e prove di pagamento per il medesimo periodo tutela da contestazioni tardive e rende più agevole ricostruire movimenti o dimostrare pagamenti in assenza di altri titoli. In ambito assicurativo, le imprese devono archiviare proposte, contratti e fascicoli sinistri per 10 anni; gli intermediari (agenti e broker) mantengono la documentazione di intermediazione per cinque anni. Per gli assicurati, le polizze vita e le relative quietanze andrebbero conservate per 10 anni dopo la scadenza o la liquidazione (coincide con il termine di prescrizione dei diritti), mentre per le polizze danni la documentazione di sinistro va tenuta almeno 2 anni—meglio 5, se vi sono danni alla persona—e le quietanze dei premi detraibili seguono il regime fiscale del quinquennio.
I documenti immobiliari meritano una gestione “a vita”: gli atti notarili di compravendita, donazione, divisione e mutuo vanno conservati permanentemente in copia autentica. La pratica ipotecaria (compresa l’attestazione di cancellazione) è bene custodirla almeno per 10 anni dopo l’estinzione del mutuo, se non illimitatamente per futura circolazione del bene. I contratti di locazione e le relative ricevute si conservano per tutta la durata e poi cinque anni; le spese condominiali ordinarie per cinque anni, quelle straordinarie per dieci. I documenti tecnici dell’immobile—agibilità, certificazioni impianti, APE, pratiche edilizie, planimetrie e volture catastali—si tengono per l’intera durata del possesso e si trasferiscono in caso di vendita; l’APE si rinnova alla scadenza decennale, ma le versioni pregresse conviene archiviarle per storicità.
Sul fronte sanitario, le strutture pubbliche conservano le cartelle cliniche a tempo indeterminato e, salvo confluenza in cartella, referti e radiografie per 20 anni. Il paziente non ha obblighi formali, ma dovrebbe mantenere il proprio “dossier” personale con copie di cartelle, referti, certificazioni, piani terapeutici e documenti vaccinali per un tempo illimitato: la storia clinica è un patrimonio informativo che torna utile anche dopo molti anni e facilita sia l’assistenza sia eventuali tutele legali.
Infine, i documenti scolastici: per le persone, diplomi, lauree, attestati e certificati vanno conservati per sempre; per gli enti, gran parte dei registri e dei fascicoli (verbali, fascicoli alunni e del personale, registri dei diplomi) ha conservazione illimitata, mentre alcuni atti amministrativi e contratti seguono orizzonti pluridecennali (tipicamente dieci o cinquanta anni a seconda della tipologia).
Due principi aiutano a orientarsi quando la norma non fissa un termine preciso. Primo: riferirsi alla prescrizione del diritto che il documento prova (decennale per i diritti ordinari, quinquennale per molte prestazioni periodiche), mantenendo il documento almeno fino al completo decorso. Secondo: in caso di dubbio tra due termini, adottare quello più lungo; e sospendere qualsiasi scarto se è in corso un accertamento, un reclamo, un contenzioso o se il documento è stato utilizzato per fruire di benefici pluriennali. In generale, le imprese devono garantire per legge la tracciabilità e l’integrità della documentazione per i tempi minimi (spesso dieci anni), mentre per i privati la regola pratica è non buttare ciò che fonda diritti rilevanti—atti notarili, titoli di studio, carte cliniche, mutui, sentenze—preferendo una conservazione permanente o, almeno, fino a quando non sia ragionevolmente impossibile che il documento sia ancora richiesto o utile.
