di Alessandra Schofield
Piccoli malesseri e farmaci da banco Attenzione ai rischi dell’autodiagnosi e dell’automedicazione. Il recente Rapporto Assosalute-Censis rileva che negli anni gli Italiani hanno imparato a gestire i piccoli disturbi con i farmaci da banco, grazie a un’adeguata alfabetizzazione sanitaria diffusa, un rapporto di fiducia con medici e farmacisti e l’uso prudente dei medicinali senza ricetta, attivando un modello di “automedicazione” positivo per contrastare i malesseri lievi.
Con “piccoli disturbi”, il Rapporto intende mal di schiena, dolori muscolari e articolari (53,1% degli Italiani), mal di testa (42,1%), raffreddore, tosse, mal di gola, problemi respiratori (40,8%), mal di stomaco, reflusso gastro-esofageo, problemi digestivi (29,1%), problemi intestinali (23,9%), mal di denti (16,7%), allergie (12,3%) e dolori mestruali, che colpiscono il 91,8% delle donne in età fertile.
Questi disturbi colpiscono quasi tutta la popolazione e hanno un impatto rilevante sulle attività quotidiane. Nell’ultimo anno ha assunto farmaci da banco il 77,1% di coloro che hanno avuto un malessere, con percentuali più alte tra giovani e adulti e molto elevate tra i lavoratori. Spesso, il primo approccio al disturbo è prendere un farmaco senza ricetta (41,9%), seguito dal consulto con il medico o il farmacista.
Fortunatamente, l’uso è generalmente misurato: solo il 10% li assume ogni settimana, mentre la maggioranza li utilizza occasionalmente. L’efficacia percepita è alta: per l’81% sono stati importanti o decisivi nel permettere di svolgere le attività quotidiane.
Inoltre, l’86,6% ha chiesto almeno una volta consiglio al medico o al farmacista e la quasi totalità si rivolge al medico se il disturbo non passa in pochi giorni. Il “modello italiano” mostra quindi un equilibrio tra autonomia e riferimento al sapere esperto, permettendo alle persone di gestire i disturbi lievi senza sovraccaricare il Servizio sanitario.
Quasi tutti gli italiani (98%) cercano informazioni sui piccoli disturbi e sui farmaci da banco, utilizzando un sistema informativo ampio e multilivello. Le fonti principali restano il medico di medicina generale (48,2%) e il farmacista (47,9%), seguiti da internet (24,1%), medici specialisti e, in misura minore, parenti, media tradizionali e social.
La maggioranza (53,9%) usa almeno due fonti, e tra i giovani la quota sale al 64%, segno di una tendenza diffusa al confronto e alla verifica. Le differenze generazionali sono marcate: gli anziani si affidano quasi esclusivamente ai medici, gli adulti integrano più figure, mentre i giovani utilizzano anche internet, parenti e social, ampliando il proprio ventaglio informativo.
Nonostante questa pluralità di canali, il sapere esperto resta il punto di riferimento decisivo: pochi considerano internet come fonte realmente orientativa. La ricerca di informazioni è quindi ampia, ma rimane ancorata alla guida di medici e farmacisti, a garanzia di un’automedicazione responsabile.
Circa la metà degli Italiani (49,6%) utilizza l’Intelligenza Artificiale per cercare informazioni su piccoli disturbi e farmaci senza ricetta, con quote molto elevate tra giovani e laureati. La fiducia nelle risposte dei chatbot è generalmente alta (70,5%), soprattutto tra gli utilizzatori più assidui. Non tutti, però, tra coloro che utilizzano l’IA a questo scopo, verificano le informazioni con medico o farmacista. Il 37% non lo fa mai e una parte di questi si affida esclusivamente al digitale, restando in una vera e propria “bolla informativa”. I più esposti sono i tecnoentusiasti, utenti molto fiduciosi nell’IA, tra i quali il 40,9% non verifica le indicazioni ricevute. L’IA amplifica inoltre il rischio di fake news, poiché produce contenuti rapidi, convincenti e difficili da riconoscere come errati, alimentando talvolta l’illusione di poter gestire la salute senza il supporto dei professionisti sanitari. L’uso acritico dell’Intelligenza Artificiale, anche in questo contesto, rappresenta una nuova vulnerabilità che richiede educazione, cautela e orientamento.
Il “modello italiano di automedicazione” sarà anche ottimale, ma ci sentiamo di aggiungere qualche considerazione. L’abuso dei farmaci da banco rappresenta un fenomeno meno visibile rispetto all’abuso di farmaci soggetti a prescrizione, ma non per questo meno rilevante. Si parla di abuso quando un medicinale destinato all’automedicazione viene utilizzato senza una reale indicazione, per periodi più lunghi del necessario, in dosi superiori a quelle raccomandate o con finalità improprie. È una forma di uso scorretto che può avere ripercussioni serie sulla salute, anche se il farmaco è facilmente accessibile e percepito come “sicuro”. Le evidenze scientifiche mostrano che i farmaci più coinvolti in questi comportamenti sono analgesici, antinfiammatori, spray nasali decongestionanti, antiacidi e inibitori di pompa protonica, lassativi e preparazioni multiple per raffreddore o influenza. Nel caso dei FANS, l’uso eccessivo può provocare ulcere, sanguinamenti gastrointestinali, peggioramento della pressione arteriosa e danni renali, soprattutto quando il consumo diventa abitudinario. Anche il paracetamolo, generalmente considerato sicuro, può diventare pericoloso se assunto oltre il dosaggio massimo giornaliero o se si utilizzano contemporaneamente più prodotti che lo contengono: in questi casi aumenta il rischio di epatite acuta e insufficienza epatica grave, talvolta fino a richiedere un trapianto di fegato. Un altro comportamento problematico molto diffuso riguarda gli spray nasali vasocostrittori, spesso usati per periodi molto più lunghi dei pochi giorni consigliati. L’uso prolungato può indurre la cosiddetta rinite medicamentosa, una condizione in cui la mucosa nasale diviene cronicamente congestionata proprio a causa del farmaco, creando un circolo vizioso che porta la persona ad aumentare progressivamente la frequenza delle applicazioni. Anche i lassativi possono essere abusati, in particolare da chi soffre di disturbi alimentari o da chi li considera una scorciatoia per dimagrire: il ricorso cronico porta a squilibri elettrolitici, rischio di aritmie cardiache, disidratazione, danni renali e indebolimento del colon, che diventa progressivamente meno capace di funzionare senza stimolo farmacologico. Gli antiacidi e gli inibitori di pompa protonica mostrano un altro tipo di rischio: l’uso protratto senza supervisione può alterare l’assorbimento di nutrienti, aumentare la vulnerabilità a infezioni gastrointestinali e respiratorie e, come documentato da diverse ricerche, associarsi allo sviluppo di malattie renali croniche. Anche i preparati per raffreddore e allergie richiedono cautela, perché alcuni antistaminici di prima generazione possono provocare sedazione significativa, riduzione dell’attenzione e difficoltà nella guida o nel lavoro, mentre i decongestionanti sistemici possono favorire tachicardia e rialzi pressori, specialmente in persone predisposte. Le conseguenze dell’abuso non sono solo fisiche: molte pubblicazioni sottolineano la presenza di una componente psicologica che porta alcune persone a sviluppare un vero e proprio rapporto di dipendenza da certi prodotti, come gli spray nasali o i lassativi. Questi comportamenti possono influire negativamente sulla vita quotidiana, sul lavoro, sulle relazioni e, nei casi più gravi, condurre a complicanze acute che richiedono ricoveri urgenti. Un elemento comune rilevato dalle fonti ufficiali è che i segnali di allarme sono spesso riconoscibili: la necessità di aumentare progressivamente le dosi, l’uso continuativo per settimane o mesi, l’insorgenza di sintomi importanti come dolore addominale, sangue nelle feci, ittero, riduzione della diuresi, palpitazioni o congestione nasale cronica. Questi indicatori non vanno ignorati: rappresentano un invito a interrompere il fai-da-te e rivolgersi a un medico o alla guardia medica.
Insomma, sebbene i farmaci da banco siano strumenti fondamentali per gestire piccoli disturbi, la loro sicurezza dipende interamente da un uso corretto. La disponibilità libera non elimina i rischi: anzi, richiede un senso di responsabilità maggiore, attenzione alle dosi, rispetto delle durate consigliate e la consapevolezza che, quando un sintomo persiste o si aggrava, il confronto con un professionista sanitario è sempre la scelta più sicura.
