
di Alessandra Schofield
Se proprio non riusciamo a essere Body Positive, possiamo almeno imparare ad accettare il nostro corpo. Lo sappiamo bene. Nella società in cui viviamo, l’aspetto fisico conta spesso più di quanto vorremmo. Dalla pubblicità ai social network, siamo costantemente bombardati da immagini di corpi giovani, magri, tonici, perfetti, spesso ritoccati. Eppure, fortunatamente, sempre più spesso notiamo anche l’affermarsi della body positivity, cioè il rispetto per ciascun corpo, indipendentemente dal suo aspetto.
Il movimento parte da lontano, in effetti. Negli anni ’60, in America, si faceva strada una particolare corrente chiamata fat acceptance (accettazione del grasso), nata per contrastare la discriminazione contro le persone sovrappeso. Nel 1967, un gruppo di attivisti inscenò a New York il primo fat-in, una manifestazione simbolica dove si mangiavano dolci e si bruciavano libri di diete. Già allora, quindi, si denunciava la grassofobia.
Dagli anni ’90 in poi, si comincia a parlare anche di smagliature, disabilità, cicatrici, colore della pelle, età, orientamento di genere e nel 1996 nasce l’organizzazione The Body Positive. Da lì, la corrente prende slancio e si trasforma in un fenomeno globale. Hashtag come #bodypositivity e #effyourbeautystandards iniziano a raccogliere milioni di post da tutto il mondo.
Negli ultimi anni, in Italia il tema è entrato nel dibattito pubblico grazie all’attivismo di alcune influencer, giornaliste e attiviste che raccontano i corpi reali, al di là degli stereotipi.
Il concetto sottostante alla Body Positivityè che il valore di una persona non dipende dal suo aspetto fisico e che il corpo merita sempre cura e, appunto, rispetto e mai vergogna. Di diritto.
L’impatto positivo di questo approccio non è solo teorico. Studi psicologici hanno dimostrato che vedere sui media immagini di corpi reali, diversi, non ritoccati, può migliorare l’umore, ridurre l’ansia e aumentare il rapporto con sé stessi, combattendo il senso di inadeguatezza che può derivare dai modelli irrealistici con cui ancora ci troviamo a confrontarci. Costruire un rapporto più gentile e funzionale con il proprio corpo, significa migliorare spesso anche l’autostima, il benessere emotivo e perfino le abitudini alimentari e motorie.
Uno dei concetti più interessanti che si è sviluppato in parallelo è quello della Health at Every Size (salute a ogni taglia): l’idea che una persona possa essere in salute anche se non rientra nei canoni estetici della magrezza, e che il benessere debba essere misurato con parametri più complessi del solo peso, giacché accettare il proprio corpo non significa rinunciare al benessere, ma uscire dalla logica del giudizio e del perfezionismo estetico.
Qualcuno sostiene che, pur con le buone intenzioni, la body positivity mette comunque troppa enfasi sull’aspetto, ponendo il corpo sempre al centro del discorso. Si parla, allora, di body neutrality, secondo cui il corpo va vissuto come ciò che ci permette di vivere, muoverci, provare emozioni, e può essere rispettato e curato anche senza sentirsi belli.
Insomma, se proprio non riusciamo a guardarci allo specchio e sorridere, possiamo almeno provare a smettere di giudicarci e di pensare il nostro corpo come un errore da correggere.
Per molti di noi, è già un enorme passo avanti.